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Patatine fritte, una tira l'altra. Tutta colpa dei cannabinoidi
Uno studio dimostra che nella regolazione dell'assunzione di grassi ha un ruolo di primo piano la produzione a livello intestinale di endocannabinoidi
Luglio 2011
Di fronte a un piatto di patatine fritte, se se ne assaggia una è ben difficile resistere alla seconda, alla terza... La ragione di questo comportamento è stata scoperta da Daniele Piomelli, Nicholas DiPatrizio, Giuseppe Astarita e collabortatori dell'Università della California a Irvine e dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova, che la illustrano in un articolo pubblicato online sui Proceedings of National Academy of Sciences.
La colpa di questo irrefrenabile impulso non è, come spesso creduto, dei carboidrati, ma di un meccanismo biologico che coinvolge la produzione da parte dell'organismo di particolari sostanze, gli endocannabinoidi, che sono mediatori che si legano agli stessi recettori con cui interagiscono gli alcaloidi della marijuana.
Nello studio, i ricercatori hanno scoperto che quando i topi assaggiano qualcosa di grasso, le cellule dell' intestino tenue iniziano a produrre endocannabinoidi, un effetto che non è invece scatenato da zuccheri e proteine.
Il processo inizia già in bocca, dove i grassi presenti cibo inducono l'invio di un segnale che prima arriva al cervello e di qui, attraverso il nervo vago arriva all'intestino stimolando la produzione di endocannabinoidi, che avvia un aumento di segnalazione cellulare che richiede l'assunzione indiscriminata di cibi grassi. Questa è la prima dimostrazione che le vie di segnalazione degli endocannabinoidi a livello intestinale svolgono un ruolo importante nel regolare l'assunzione di grassi.
Piomelli ha osservato che, dal punto di vista evolutivo, c'è una necessità impellente per gli animali di consumare i grassi che, cruciali per il buon funzionamento delle cellule, sono però piuttosto scarsi in natura. Nella società contemporanea, tuttavia, i grassi sono facilmente disponibili e la spinta innata di mangiare cibi grassi finisce per agevolare lo sviluppo di obesità, diabete e cancro.
I risultati suggeriscono che per frenare questa tendenza si potrebbe ostacolare l'attività degli endocannabinoidi - per esempio attraverso farmaci in grado di "intasare" i recettori dei cannabinoidi. Dato che questi farmaci non avrebbero bisogno arrivare al cervello per esercitare i loro effetti, non dovrebbero indurre gli effetti collaterali negativi a livello centrale che si hanno con il blocco della segnalazione cerebrale degli endocannabinoidi, come ansia e depressione. (gg)
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/articolo/1348564
(05 luglio 2011)
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