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Alimentazione E’ stato ormai dimostrato l' “effetto porzione“:

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La quantità di cibo che le persone mangiano sembra variare a seconda della grandezza della porzione e non a seconda di un più ovvio “desiderio” di cibo. Andrew Geier e colleghi dell’Università della Pensilvania hanno provato a comprenderlo lasciando una ciotola di dolci nella hall di un palazzo, accompagnata da un cartello con su scritto “Mangiate a sazietà: utilizzate prego il cucchiaio per servirvi”.
Per alcuni giorni hanno lasciato un cucchiaio da tavola, in altri giorni un cucchiaio da zuppiera quattro volte più grande. I passanti avrebbero potuto naturalmente servirsi poco o tanto a seconda del loro desiderio e indipendentemente da quale cucchiaio fosse disponibile, ma in media, e come già verificato da altri studi, durante i giorni in cui era stato fornito il cucchiaio più grande veniva presa dal piatto una quantità di dolci di oltre 1 volta e mezzo più grande rispetto ai giorni in cui era stato fornito il cucchiaio piccolo.
I ricercatori pensano che questo abbia a che fare con il “bias dell’unità”, il senso cioè che una singola entità sia la quantità adatta da consumare. E’ come se il cervello utilizzasse l’euristica che la porzione “adatta” è una cucchiaiata, quindi ne consegue che quando il cucchiaio è più grande le persone prendono più dolci.
Se ci riflettete questa cosa non è ovvia per nulla, a parità di condizioni ( sempre che si possano omogeneizzare caratteristiche dei passanti, orari, giorni della settimana…) la quantità di dolci mangiati non dovrebbe variare.
Anche un ipotetico “effetto imbarazzo” ( se le porzioni sono piccole ci si può sentire “avidi” a prenderne più d’una) non si dovrebbe verificare quando le persone sono sole di fronte al piatto offerto, anche se questo apre a tutto un discorso di introiezione delle regole sociali…
In un altro esperimento, i ricercatori hanno trovato che , misurate a peso, venivano mangiate ciambelline salate in misura significativamente maggiore quando la ciotola conteneva 60 ciambelline intere , rispetto a quando la ciotola conteneva 120 mezze ciambelline. Le persone prendono sempre una sola unità e quindi il peso complessivo delle mezze ciambelline prese era ovviamente più basso a parità di passanti.
Difficile dire se il bias dell’unità è un elemento cognitivo o una norma sociale, o entrambe le cose, eppure pare che le norme condivise di consumo promuovano l’idea che una singola unità sia una porzione adeguata anche in altri settori. I ricercatori citano (forse non proprio a proposito) l’esempio dei film o delle giostre: “vedere due film è raro, ma un film molto lungo no, e salire su un’attrazione al luna park è sufficiente sia che duri 1 minuto sia che duri 5 minuti”.
E’ indubbio che altri fattori giochino un ruolo nell’effetto porzione, anche perché la quantità di alimento presa non varia in misura direttamente proporzionale con la grandezza dell’unità offerta.
Probabilmente il “bias dell’uno” è uno dei fattori che contribuiscono al verificarsi dell’effetto porzione.

Geier, A.B., Rozin, P. & Doros, G. (2006). Unit bias. A new heuristic that helps explain the effect of portion size on food intake. Psychological Science, 17, 521-525.
Via BPS

http://www.cafepsicologico.it/category/mentecorpo/page/2/


 
 
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