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Psicologia Ehm… l’effetto dell’esitazione del discorso sulla comprensione linguistica

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Non sempre è un segnale negativo Quando parliamo con qualcuno, su 100 parole emesse, sembra che 6 in media siano “colpite” da disfluenze varie: ripetizioni, auto-correzioni, esitazioni.
Le esitazioni in particolare sono molto interessanti perché hanno la caratteristica di presentarsi sotto forma di riempitivi sonori come “ehm”…o “uhm” e non si verificano a caso in un punto qualsiasi del discorso, ma avvengono con maggiore probabilità prima di emettere parole a bassa frequenza d’uso, parole inaspettate o poco predicibili dal contesto generale della frase in cui sono inserite.
Ma quali sono gli effetti delle esitazioni sugli ascoltatori, sulla loro comprensione e memorizzazione del discorso?
Se lo sono chiesto L. MacGregor e colleghi della University of Edinburgh, in un breve articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Cognition. Hanno utilizzato, per il loro studio, i potenziali evocati e quello che hanno scoperto è interessante.
I potenziali evocati sono definibili come modificazioni elettriche che avvengono nel sistema nervoso centrale a seguito di uno stimolo esterno e si misurano come un elettroencefalogramma: con il posizionamento di elettrodi in punti precisi dello scalpo.
In particolare i ricercatori si sono focalizzati sull’ ERP N400, un cambiamento negativo del voltaggio nella regione centro parietale che è indice di incongruenza semantica.
Questo potenziale evocato si può osservare infatti quando le persone ascoltano frasi in cui una parola è incongruente con il significato della frase che la contiene, come per esempio in: "Mi piace bere il tè con zucchero e calza".
L’N400 si presenta inoltre quando figure anomale (o incongruenti) sono mostrate durante l’ascolto di una frase, o quando la frase presenta una violazione sintattica.
I ricercatori hanno coinvolto 12 soggetti e hanno fatto loro ascoltare diverse frasi con l'ultima parola congruente con il contesto della frase (Es. Mi piace bere il tè con zucchero e limone) oppure incongruente (Mi piace bere il tè con zucchero e calza). Nella metà dei casi, prima delle parole limone e calza, erano presenti esitazioni “ehm”.
I risultati hanno evidenziato che quando la parola non era congruente, se questa era preceduta da un “ehm”, l’ atteso effetto N400 si riduceva, come se l’esitazione avesse reso la parola inaspettata più facile da processare.
Secondo gli autori questo si verifica perché l’esitazione forzerebbe il cervello a sintonizzarsi sul discorso e a percepire l’ehm come un segnale di allerta. Sarebbe come se dicessimo a noi stessi: “occhio, devi fare attenzione adesso, perchè ciò che pensavi succedesse (“dopo il tè verrà il limone") forse non succederà, perchè il parlante esita!"
Ed ecco che “calza”, benchè inattesa e imprevedibile, viene accettata più facilmente dalla mente senza provocare l’N400.
Ma ciò che è stato verificato di più importante è che l’esitazione ha anche un effetto a lungo termine, benchè di modesta entità: in un successivo test di memoria le parole (congruenti o incongruenti) che seguivano l’ehm erano ricordate con maggiore probabilità.
Quella sintonizzazione preventiva di cui parliamo, quell’allerta attentivo fornirebbe anche un vantaggio nella memorizzazione della parola seguente all’interruzione.
Del tutto sorprendentemente parrebbe dunque che un discorso esitante (ma non troppo) risulta più comunicativamente efficace di un discorso completamente fluente.
A coloro che frequentano corsi di public speaking farà piacere sapere che qualche esitazione qui e là nei loro discorsi val la pena di conservarla.

psicocafe.blogsfere.it
Paper originale | It’s the way that you, er, say it: Hesitations in speech affect language comprehension


 
 
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