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Editoriali Dal PIL al BIL

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Anche il Sole 24 Ore si è accorto della differenza..

Pur partendo dalla precisazione che si tratta di «una sorta di gioco senza pretesa di rigore scientifico», il Sole 24 ore sembra aver carpito, pur sfuggevolmente, una sostanziale differenza nell’individuazione dei criteri attraverso i quali calcolare la reale qualità della vita delle persone: in aggiunta alla tradizionale classifica che pubblica ogni anno – imperniata sul PIL, il Prodotto Interno Lordo –, il quotidiano milanese ha infatti pubblicato in questi giorni la graduatoria del BIL, il Benessere Interno Lordo, raccogliendo la “provocazione” del presidente francese Sarkozy, che ha formato una commissione incaricata di individuare criteri capaci di definire il “benessere pluridimensionale”.

Il BIL è la risultanza di otto indicatori che prendono in esame ambiti della vita quotidiana dei singoli e delle comunità andando al di là del dato meramente economico. Si parla quindi di condizioni di vita materiali, di salute, di istruzione – misurata attraverso gli iscritti all’università –, di attività personali, di partecipazione alla vita politica – in questo caso fa fede l’affluenza alle urne in occasione delle scorse europee –, di rapporti sociali, di insicurezza economica e fisica fino all’ambiente, variabile importante che può denotare, se di segno negativo, situazioni particolarmente gravi, come quella di Siracusa, ultima città italiana nella graduatoria del BIL a causa di una situazione ambientale critica, in cui spiccano i 25 chilometri quadrati di discariche abusive.

La zona dove il benessere sembra esistere realmente è quella di Marche e Romagna: sette delle prime dieci città si trovano infatti in queste due regioni. In fondo alla classifica troviamo, come già detto, Siracusa, mentre la capolista è la provincia di Forlì-Cesena. Nel prospetto riassuntivo viene anche indicata la differenza di posizione rispetto al tradizionale calcolo del PIL, evidenziando discrepanze notevoli: Bolzano, Roma, Torino e Venezia sono le città che perdono più posti, ovvero quelle i cui abitanti sono ricchi ma infelici; a Rieti, Lecce e Ascoli (che guadagnano rispettivamente 54, 53 e 50 posizioni) invece è proprio il caso di dire che “i soldi non fanno la felicità”. Una curiosità: è Pordenone l’unica città che occupa la stessa posizione sia nella classifica del BIL che in quella del PIL.

Al di là delle amenità che può suscitare la lettura e l’analisi di una classifica interessante e simpatica come questa, è doveroso fissare alcune riflessioni sulla situazione.

Anzitutto, è da considerarsi certamente un fatto positivo che importanti figure della politica internazionale e dell’informazione – penso a Sarkozy, che ha incaricato l’economista Joseph Stiglitz, fra l’altro già avvezzo alla trattazione di questo tipo di tematiche, di formare la commissione per la ricerca del “benessere pluridimensionale” o al Sole 24 ore, che ha raccolto questa sfida e stilato la classifica del benessere – si siano sganciate dal paradigma dominante, quello proprio dell’homo economicus, il quale pretende di misurare ogni cosa attraverso la fattibilità, la remunerabilità, senza prendere in considerazione alcun criterio che non possa quantificare il guadagno personale. Purtroppo gran parte della società occidentale si fonda su questi ragionamenti ed è ordinata da queste valutazioni; tale apertura, seppur parziale e limitata, pare quindi un incoraggiante segnale di rottura rispetto alla consueta logica mercantilista.

Un evidente limite di questa originale classifica è tuttavia insito nella sua stessa natura: il tentativo di ingabbiare simili indicatori in una graduatoria costituita da cifre, segni e valori è infatti un’evidente forzatura. Questo per due motivi: intanto perché dal punto di vita strettamente statistico è un arduo compito quello di trovare canoni oggettivi che possano ad esempio stabilire se una città è sicura o se la sua popolazione è istruita; qualunque criterio si adotti, il rischio è quello di scattare una fotografia che non rappresenta davvero la realtà dei fatti. In secondo luogo, è sbagliato l’approccio concettuale: è indiscutibile che un quotidiano come il Sole 24 ore non sia certamente la sede migliore per proporre profondi discorsi filosofici ed esistenziali, ma una delle proprietà più importanti della ricchezza non materiale, del benessere, è proprio la sua incommensurabilità, la sua natura astratta e intima, che si manifesta secondo sentimenti, sensazioni, azioni singole o collettive e che quasi mai può essere quantificata e ridotta in numeri.

Quello che di oggettivo questa classifica suscita e suggerisce sono le azioni che possiamo compiere tutti noi per migliorare il benessere, per “far crescere il BIL”: adoperarci per rinsaldare quei legami che sono in grado di trasformare una società contrattualista e utilitarista in una comunità che sia tale anche nello spirito e negli intenti; adottare uno stile di vita sostenibile e consapevole, riducendo i consumi, la produzione di rifiuti e l’inquinamento; acculturandoci, non necessariamente iscrivendoci all’università quanto piuttosto leggendo libri, confrontandoci fra di noi, approfondendo la conoscenza della nostra tradizione culturale e di quelle che ci circondano.

Ben venga quindi la classifica del benessere, un primo, timido tentativo di scardinare l’ideologia dell’utile e della crescita che fa capo al PIL per rivolgersi verso quella della consapevolezza, del dono e della decrescita espresse dal concetto di BIL.

Francesco Bevilacqua
Testo tratto da www.terranauta.it.


 
 
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