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Meditazione Tecniche di meditazione

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Dalla via della suggestione alla via della Conoscenza.  

di
Amadio Bianchi


 


Molteplici
sono i modi per meditare.


Prima
di affrontare i principali aspetti contenuti nel sottotitolo di questo
articolo, mi sembra conveniente precisare che le parole meditare e
meditazione sono usate impropriamente se riferite alle pratiche
orientali. Tali termini, infatti, discendono dalla parola latina
“mens” e si riferiscono, pertanto, al “mentale” ed alla sua
attività.


 


Ciò
che l’orientale intende 
conseguire con le sue pratiche interiori è sicuramente volto in
altre direzioni: sperimentare il mentale nel tentativo di superarlo e
giungere a stadi “sovraordinari” di contemplazione che coincidano
con stati di coscienza diversi da quelli comuni, nei quali l’uomo si
identifica con il contenuto della sua mente.


 


Come
la cultura indiana afferma, ciò che stà nel mentale, risulta dalle
impressioni che i fatti della vita hanno determinato in noi attraverso i
sensi.


Gli
avvenimenti sono comparabili a pellicole di films archiviate che
costituiscono la nostra memoria storica. Attraverso un particolare e
complesso meccanismo, tali pellicole vengono riproposte al conscio e
rielaborate, per non dire “ricolorate” dal nostro regista interiore
e dai suoi stati d’animo. Egli essendo in continua evoluzione le
rivede modificandole in continuazione. Si tratta pur sempre di passato,
anche se rielaborato, e , quando manca la conoscenza viene purtroppo
scambiato per presente.


 


Ci
tengo a sottolineare una volta di più che, quando siamo nel mentale,
siamo sempre a contatto con ciò che è già avvenuto, anche se prodotto
dai sensi pochi istanti prima.


 


Le
vie orientali sono impegnate da migliaia di anni nel tentativo di
riportare l’uomo nel presente proponendone la sperimentazione nella
coscienza. Anche per questo, un termine più adatto per definire tali
pratiche potrebbe essere “contemplazione”. Specialmente nelle
tradizioni dell’India, la contemplazione assume una grande importanza,
al punto da essere considerata nelle pratiche spirituali determinante ai
fini dell’illuminazione.


In
ogni caso, i conti, vanno sempre fatti con il mentale e gli antichi
maestri hanno proposto vari metodi per ottenere il superamento del suo
contenuto: essi vanno dall’induzione o suggestione all’inganno, dal
rallentamento dell’attività alla raffinata e univoca concentrazione.


La
via dell’inganno, ad esempio, implica la conoscenza e lo studio dei
procedimenti usati dal mentale per poterli aggirare mediante astuzia.


La
via del “rallentamento” si persegue con la riduzione dell’attività
mentale attraverso appropriate tecniche di rilassamento o ascetiche.


La
via della raffinata univoca concentrazione, elegge come strumenti
preferiti il mantra, lo yantra, e qualsiasi altro strumento che faciliti
la focalizzazione della mente in un punto.


In
qualche caso è ammesso passare attraverso uno stato di sovraeccitazione
attraverso un carico specifico, che tende a uniformare le onde cerebrali
fino a farle divenire un unica onda dello stesso tipo. Se tale onda si
mantiene a lungo origina un particolare stato di concentrazione
anch’essa sovraordinaria.


 


La
pratica considerata più produttiva dalla maggior parte dei maestri è
quella che sviluppa il “vairagya” o distacco. Questa, che promuove
la capacità di contemplare il proprio mentale senza venirne coinvolti,
è reputata la via della conoscenza.


 


Facciamo
un passo indietro e prendiamo ancora in considerazione taluni metodi
comuni soprattutto in uso nelle scuole di yoga occidentali, basati
sull’induzione o autosuggestione. Ritengo che essi siano conseguenza
dell’approccio di tipo salutistico che l’occidentale mette in atto
nei confronti delle discipline orientali ma risultano, a mio parere,
essere molto lontani dagli obbiettivi più alti di queste discipline.


Tali
tecniche consistono nel sedersi sul pavimento, ad occhi chiusi, e come
prima esperienza praticare la consapevolezza del proprio piano fisico.
Attraverso il risveglio dell’attenzione è possibile divenire
consapevoli dello stato di disagio o di sofferenza su questo piano. Esso
si manifesta con la presenza di tensioni di vario tipo localizzabili
nelle diverse aree del corpo. Normalmente, si rimuovono le tensioni
attraverso la decontrazione di tali parti, inducendo uno stato diverso
da quello riscontrato


Similarmente
si procede poi nei confronti dell’atto respiratorio spontaneo: si
induce un ritmo che può richiamare stati di 
maggiore tranquillità e serenità che si riflettono anche sul
piano emotivo.


Infine
attraverso l’autosuggestione, il più delle volte procurata con
l’evocazione di immagini piacevoli, si può modificare il contenuto
della mente.


Ripeto
che questo è forse il metodo maggiormente in uso nelle scuole di yoga
sia occidentali, sia orientali poco “impegnate”. Tale metodo è
“provvisoriamente” salutare ma, come ho già affermato, assai
lontano dagli alti obiettivi dello yoga della “Conoscenza”.


 


La
Conoscenza oggettiva risulta tale solo se non viene alterata dalla
partecipazione del meditante.


Nella
via più elevata, cioè, si procede sviluppando la qualità dello
spettatore e, con l’esercizio, si impara ad essere coinvolti il meno
possibile.


La
tecnica grossomodo è la seguente: lo studente si siede in posizione di
meditazione e nella fase iniziale impara a contemplare il suo corpo
senza intervenire, semplicemente prendendo atto delle sue tensioni. La
stessa cosa fa con il respiro: contempla il respiro spontaneo senza
modificarne il ritmo.


Infine,
cosa assai più difficile, prova a osservare con distacco il contenuto
della sua mente...proprio come dovrebbe fare uno spettatore
“evoluto” in una sala cinematografica.


Egli
dovrebbe sempre essere cosciente di essere seduto, di respirare e essere
consapevole che le immagini sullo schermo non sono la realtà oggettiva,
ma la proiezione della mente del regista. Tale giusto atteggiamento non
porta al coinvolgimento in un “falso” quale può essere un film che
spesso viene scambiato dagli spettatori non “risvegliati” per il
reale.


Andate
in una sala cinematografica dove venga proiettata una pellicola
sull’orrore e osservate quanto pochi sono gli spettatori capaci di non
essere coinvolti.


 


Per
tornare alle tecniche di meditazione, il Vairagya o distacco, consente,
a mano a mano che l’abilità del meditante si fa più raffinata, di
affrontare gli strati più profondi del subconscio e dell’inconscio
liberandoli per riviverli nuovamente nel conscio. In questo modo, senza
coinvolgimento, possiamo conoscere la loro vera natura e origine e
liberarci dalle impressioni che li rivestono. Essi torneranno ad essere
utili come memoria-esperienza ma non saranno più in grado di creare
disturbo nè impedimento all’esplorazione di ciò che sta oltre il
mentale.


Trascendere
il mentale, porta a conoscere la natura essenziale e reale delle cose,
non più rivestite dalle sovrastrutture costruite dall’ego.


E’
questa la via considerata della liberazione e conoscenza.


 
 
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