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Infanzia Il segreto del "no" dei bimbi?

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I piccoli di tre anni mettono da parte le indicazioni per riassociarle poi alle esperienze dirette. Nulla di ciò che diciamo viene perso ma immagazzinato e utilizzato in un secondo momento

di SARA FICOCELLI

Provare per credere: tutte le volte che si dice a un bambino molto piccolo di fare o non fare una cosa, lui ( o lei) fa il contrario. La scienza ha però una buona notizia da dare ai genitori dei piccoli testardi. In realtà le vostre parole non passano da un orecchio all'altro senza lasciare traccia, ma vengono "messe da parte" per il futuro. Questa la conclusione cui è giunto uno studio condotto dall'università del Colorado.

"Ho cominciato la ricerca aspettandomi esiti completamente diversi - spiega lo psicologo Yuko Munakata - Molti studiosi pensano che i bambini non facciano che cercare di imitare i grandi, ma il nostro studio dimostra che nella loro mente accade qualcosa di molto diverso".

Per condurre la ricerca Munakata e colleghi hanno utilizzato un videogioco per l'infanzia e una tecnica conosciuta con il nome di "pupillometria", che misura il diametro della pupilla per determinare lo sforzo cerebrale. Gli scienziati hanno preso in esame piccoli di età compresa fra i tre anni e mezzo e gli otto, sottoponendogli un gioco molto semplice, con protagonisti due personaggi dei cartoon. I bambini dovevano seguire alcune semplici regole relative ai due protagonisti e segnalare delle preferenze cliccando sullo schermo.

In particolare, sapendo che il personaggio "Blue" andava pazzo per l'anguria, avrebbero dovuto cliccare sulla faccina sorridente del desktop tutte le volte che avessero visto il personaggio seguito da un'anguria, e sulla faccina triste quando invece sullo schermo fosse apparso l'altro personaggio, "SpongeBob".

"I più grandi - spiega il ricercatore Christopher Chatham, che ha collaborato allo studio - trovavano questa sequenza molto facile e anticipavano il collegamento prima che l'oggetto apparisse sullo schermo. I più piccoli invece facevano fatica e non riuscivano ad anticipare la risposta. Tutte le volte che vedevano l'anguria compivano uno sforzo cerebrale per ricordare se nella schermata precedente avessero visto o no il personaggio".

"Probabilmente - spiega lo psicologo Maurizio Brasini - si tratta di differenze quantitative che si trasformano in differenze qualitative. Differenze che riguardano la maturazione del sistema nervoso centrale e in particolare della corteccia prefrontale, preposta alla pianificazione delle azioni. Ma anche differenze che riguardano la quantità di esperienze registrate in memoria, e le modalità di accesso ad esse".

La misurazione con il pupillometro ha poi dimostrato che i bambini di 3 anni non riuscivano né a concentrarsi sul futuro né a vivere completamente il presente. Richiamavano però alle mente il passato tutte le volte che il cervello ne aveva bisogno. Il dottor Chatham spiega questo meccanismo con un esempio molto chiaro: "Prendiamo il caso che fuori faccia freddo e tu dica a un bambino molto piccolo di andare a prendere la giacca nella sua camera e preparasi per uscire. A quel punto ti aspetti che egli rifletta sulla situazione e in un certo senso pianifichi il futuro, facendo la cosa più conveniente. Ma non è questo ciò che accade nel suo cervello. Piuttosto, è più facile che corra fuori, si renda conto personalmente di quanto fa freddo e solo a quel punto rientri in casa e ripensi alle parole che voi gli avete detto poco prima, andando a prendere la giacca esattamente dove gli avevate detto voi".

In pratica, nulla di ciò che dicono i genitori si perde, ma tutto viene immagazzinato e riutilizzato dai bambini in un secondo momento, associando le indicazioni ricevute all'esperienza diretta. La scoperta, che uscirà sul prossimo numero della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, secondo gli studiosi potrebbe aiutare psicologi e pediatri a sviluppare terapie di sostengo a bambini in difficoltà e percorsi educativi modellati in base alle diverse fasi di crescita.

"E' completamente sbagliato pretendere che un bambino ci ascolti semplicemente ripetendo una, due, tre volte lo stesso comando - conclude Munakata - Sarebbe semmai più efficace provare a scatenare in loro una reazione. La cosa migliore è fare in modo che le azioni che vengono chieste non richiedano uno sforzo mentale particolare, ma un confronto pratico con la realtà". Secondo lo psicologo bisogna insomma dire una frase del tipo "So che non vuoi prendere e indossare il tuo cappotto adesso, ma quando tra cinque minuti avrai freddo, ricordati che potrai trovarlo nella tua cameretta". Cinque minuti senza cappotto, specialmente in certe serate d'inverno, possono scatenare un raffreddore. Ma il cammino verso la crescita vale almeno qualche starnuto.
larepubblica.it


 
 
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