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Fisiologia I pori nucleari e l'invecchiamento

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L'accumulo di danni al complesso del poro nucleare rappresenta un evento cruciale dell'invecchiamento

I processi di invecchiamento sarebbero strettamente collegati alla funzionalità dei pori della membrana nucleare: lo rivela una ricerca condotta da biologi del Salk Institute, che ne riferiscono in un articolo pubblicato sulla rivista "Cell".
Composti da una trentina circa di proteine, i complessi dei pori nucleari trapassano da parte a parte la membrana che separa il nucleo dal citoplasma e hanno la funzione di regolare il traffico delle sostanze che fungono da messaggeri fra il DNA e i diversi apparati cellulari. In media gestiscono mille eventi di trasporto al secondo.

Circa metà delle proteine del poro appartengono al "cuore" di questa struttura, mentre le altre fungono da ancoraggio alla membrana. Ora i ricercatori hanno scoperto che mentre queste proteine periferiche sono continuamente rinnovate, lo stesso non avviene per quelle centrali, che vengono prodotte solamente nella fase in cui la cellula è in divisione.

"Queste proteine sono insolitamente stabili", ha osservato Martin Hetzer. "La maggioranza delle proteine viene ricambiata nel giro di minuti o di ore. Queste durano l'intera vita della cellula", un periodo che può durare decenni. Di fatto, aggiungono i ricercatori, alcune cellule del corpo non si dividono mai o quasi mai, come per esempio i neuroni.

"Abbiamo scoperto che la 'tenuta' dei pori nucleari diminuisce drammaticamente con l'inveccchiamento e il fatto che un sottoinsieme delle nucleoporine soffra di danni ossidativi nelle cellule vecchie suggerisce che l'accumulo di danni al complesso del poro nucleare sia un evento cruciale dell'invecchiamento", ha concluso Hetzer.

I ricercatori hanno in particolare scoperto che la tubulina, una proteina che va a costituite filamenti microtubulari normalmente presenti soltanto nel citoplasma, si accumula nel nucleo quando i pori nucleari perdono parte della loro selettività. Questi filamenti tendono a essere particolarmente numerosi nelle cellule nervose dei pazienti affetti da Parkinson e altre patologie neurodegenerative. La scopera apre dunque nuova prospettive per il trattamento di queste malattie. (gg)
lescienze.it


 
 
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