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Editoriali Allarme frodi

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Gli scienziati con la coscienza sporca potrebbero essere in numero molto maggiore di quanto finora sospettato.
di Tiziana Moriconi
L'allerta arriva dalle pagine di Nature che questa settimana pubblica un'indagine dell'Office of Research Integrity (Ori) che ha coinvolto oltre duemila ricercatori afferenti a 605 istituzioni statunitensi.

Sandra L. Titus, James A. Wells e Lawrence J. Rhoades, autori del sondaggio, hanno chiesto a oltre quattromila persone di indicare se e quante volte avevano assistito a una condotta non corretta o sospettato una frode all'interno del loro dipartimento nel corso del triennio 2002-2005. Di questi, solo la metà ha risposto al questionario. Dalle informazioni fornite dai 2.200 scienziati è emerso che l'8,7 per cento dei ricercatori (192 in numero assoluto) ha sospettato o ha avuto le prove, almeno una volta, di un comportamento non corretto da parte di uno o più colleghi, per un totale di 265 casi in tre anni. Esaminando le dichiarazioni e scremando i casi che esulavano dalle definizioni di frode, alla fine è risultato che 164 ricercatori hanno commesso in tutto 201 frodi: fabbricazione o falsificazione dei dati (60 per cento), plagio (36 per cento) e altri comportamenti scorretti (4 per cento).

Supponendo che chi non ha risposto al sondaggio non abbia mai sospettato una frode, nel campione preso in esame si sarebbero verificati 1,5 “incidenti” ogni cento scienziati per anno. Se la percentuale viene proiettata sui 155mila ricercatori che nel 2007 sono stati supportati dai National Health Institutes (Nih), lo scorso anno si sarebbero verificate oltre 2.325 frodi, mille in più di quante denunciate. Questi numeri differiscono molto anche da quelli dell'Ori, che riporta circa 24 casi l'anno.

Il tema non è certo nuovo (Le bugie degli scienziati, L'uomo dietro il camice). Sempre Nature pubblicava, nel 2005, un altro sondaggio anonimo condotto su tremila scienziati dei National Institutes of Health: i risultati mostravano che un terzo del campione aveva falsificato od omesso dei dati almeno una volta nel corso della propria carriera (Disonesti una volta su tre).

Secondo il nuovo studio i casi di frode sospetta avvengono a ogni livello: dal docente universitario, al post dottorando, allo studente. E vanno dai dati inventati o ritoccati per dimostrare un'ipotesi, al plagio, alla pubblicazione della stessa ricerca su più riviste, alla mancata dichiarazione dei conflitti di interesse (Se la trasparenza è optional), all'uso di programmi di ritocco delle immagini per falsificare i materiali di supporto nel momento in cui lo studio viene sottoposto a una rivista per la pubblicazione. Come è accaduto in una delle frodi scientifiche più eclatanti, quella che ha investito il veterinario sud coreano Woo Suk Wang (Niente di vero tranne Snuppy).

“I ricercatori e gli istituti, non il governo federale, dovrebbero essere i garanti dell'integrità della ricerca”, scrivono Titus e colleghi. Gli autori propongono che non via sia alcuna tolleranza verso chi mette in atto una frode, e che chi denuncia una frode venga protetto da rivalse e vendette accademiche. Servono, infine, politiche più chiare e stringenti e linee guida adeguate: “Le università non dovrebbero basarsi solo sulle denunce formali, attualmente loro unico sistema di monitoraggio della qualità”. Soprattutto se si considera che, secondo un'altra indagine dell'Ori condotta nel 2000, solo il 29 per cento delle istituzioni obbliga formalmente i propri membri a denunciare un comportamento non corretto. Per gli autori, le università dovrebbero piuttosto avviare un meccanismo di controllo e rivalutazione continua delle ricerche.

Intanto, per quanto riguarda la dichiarazione del conflitto di interesse tra le case farmaceutiche e i ricercatori di biomedicina, un gruppo di università statunitensi ha pensato bene di venire in soccorso degli studenti e fornirli di un manuale che li guidi nei delicati rapporti tra la ricerca clinica e l'industria (Il manuale dei giovani ricercatori). Contro i plagi e gli studi-doppione, invece, i ricercatori del Southwestern Medical Center dell'Università del Texas hanno messo a disposizione, gratuitamente, il motore di ricerca EtBlast (Quello studio è un doppione) ed è stato creato un registro a libero accesso, Déjà vu, in cui i “cattivi” vengono messi alla berlina.
galileonet.it


 
 
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