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Editoriali Pochi orrori, tanti errori

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Ai chirurghi italiani piace operare molto (non solo alla Santa Rita)

26 giugno 2008 IL FOGLIO

Un tasso abnorme di cesarei. Tutto rimborsato, pochi controlli futili. Il parere di Volpi

Roma. Non crimini ma ordinarie disfunzioni. Odiose, ma non al punto di dover essere considerate alla stregua di omicidi volontari: c’è veramente di che essere sollevati dalle prime conclusioni (ma si aspettano le prossime puntate dell’inchiesta) sulla vicenda della clinica Santa Rita di Milano, declassata da “clinica degli orrori” a clinica, tutt’al più, dei cialtroni? Lo statistico Roberto Volpi, che al funzionamento della sanità italiana ha dedicato decenni di studi condensati in un libro recente (“L’amara medicina”, Mondadori), dice al Foglio che in realtà “c’è comunque poco da stare allegri. Siamo usciti dal solito, vecchio equivoco italiano, per cui se c’è qualcosa che non va lo classifichiamo come eccezione mostruosa, come anomalia. Ma quali omicidi volontari: qui c’erano medici che operavano quando se ne poteva fare a meno, che tra un intervento semplice e uno più complesso, sceglievano il secondo, perché meglio remunerato”. Fatto che, “ovviamente con gradazioni diverse di gravità e di responsabilità, è la regola assoluta. Ed è una regola indotta dal nostro sistema. Guardiamo l’esempio più banale: la questione dei parti cesarei, che costano il doppio rispetto al parto normale. L’Organizzazione mondiale della sanità considera ottimale una percentuale del quindici per cento di incidenza dei cesarei sul totale dei parti, e l’Europa fa crescere quella percentuale al venti, per via dell’età sempre più avanzata delle partorienti nel nostro continente. Ma in Italia abbiamo il quaranta per cento di cesarei sul totale. Una quota doppia rispetto a quella europea, che diventa cinquanta per cento in regioni come la Campania. E’ lampante quella che si può definire una ‘piccola’ truffa: si fanno cose inutili perché costano di più e lo conferma, per rimanere nel tema dei cesarei, il fatto che tra il pubblico, il privato convenzionato e il privato, quest’ultimo mostra l’incidenza più alta, con punte di sessanta cesarei contro quaranta parti naturali”.

La delega in bianco alla tecnologia
Questa logica, prosegue Volpi, “vale per tutto: il sistema sanitario nazionale ti ricompensa quanto più fai e quanto più quello che fai è complicato e costoso”. Esiste un fatto preciso alla base di questa deriva, secondo Volpi, “ed è la fine della presa in carico del paziente da parte del medico. Presa in carico che una volta significava un medico in grado di conoscere il paziente come persona, e che di quel paziente si sentiva responsabile. Lo auscultava, lo faceva parlare, lo ‘sentiva’, gli faceva dire trentatré: si chiamava ‘esame obiettivo’. A partire da quello il medico si faceva un’idea, in base alla quale o non interveniva del tutto o prescriveva alcuni esami mirati”. I medici di base esistono ancora… “Ma non conoscono più la scienza dei sintomi – spiega Volpi – e quel paziente che nessuno prende più in carico finisce per entrare nell’inferno della tecnologia, dove professori, primari, specialisti pescano a piene mani per riempirsi le tasche. I medici di base esistono, certo, ma si è lavorato per demolirne la funzione”. In che senso? “Il tragitto delle convenzioni nazionali, rinnovate di sette anni in sette anni, è stato quello di togliere dai compiti ordinari del medico di base ogni attività che comportasse un intervento sul paziente, per pagarlo a parte. E ha vinto l’interdizione, visto che si pagano anche i semplici certificati, e allora, per l’attuale medico di base, tanto vale lavarsene letteralmente le mani. Gli è stato detto che è medico in quanto non fa niente, ed è pagato: primo, per non mettere le mani addosso al paziente; secondo, per spedirlo da altri medici specialisti; terzo, per prescrivere diligentemente quello che gli specialisti hanno deciso”.

La scomparsa della presa in carico del paziente significa, dice ancora Volpi, “l’introduzione nel sistema di un fattore moltiplicativo (di prestazioni, di interventi, di visite, di esami) rispetto al quale ogni tentativo di aggiustamento da parte dello stesso sistema risulta paradossalmente, sempre inadeguato”. Un paradosso non per modo di dire, perché “vediamo che le liste d’attesa continuano a crescere proprio lì dove si introducono più servizi, più attrezzature, più domanda che genera altra domanda”. Ci sono Asl nelle quali la risonanza magnetica, l’esame più costoso e, in certa misura, dannoso, “cresce del venti per cento ogni anno. Nessuna presa in carico significa nessun limite e nessuna difesa del paziente dall’idea, micidiale, che deve comportarsi da malato anche se magari non lo è”. Roberto Volpi dice senza mezzi termini che “gran parte delle operazioni che si fanno in Italia si potrebbero tranquillamente evitare. E questo ci porta a chiarire, una volta per tutte, che differenza corre tra il nostro sistema e quello di paesi come l’America”.


 
 
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