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Fumo Smettere è contagioso

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Chi dice di no alle sigarette innesca un forte effetto imitativo in tutte le sue reti sociali, dalla famiglia ai colleghi


Potrebbe essere una nuova scritta sui pacchetti di sigarette: “Chi smette fa smettere i suoi cari”. Secondo una recente ricerca condotta negli Stati Uniti e da poco pubblicata sul New England Journal of Medicine, infatti, chi rinuncia al fumo – spesso su pressione di qualche familiare, amico o collega – innesca una sorta di “effetto imitativo” che si ripercuote sulla sua intera comunità di appartenenza. Il processo assumerebbe caratteri addirittura dirompenti: più che un “effetto domino”, la dinamica è quella del crollo di un castello di carte.

L'analisi, condotta da Nicola Christakis della Harvard Medical School e da James Fowler della UC San Diego, ha analizzato i cambiamenti nel comportamenti di oltre 12mila fumatori, persone tutte direttamente o indirettamente interconnesse tra loro, dal 1971 al 2003 (sulla base dei dati forniti dal Framingham Heart Study). I due scienziati – che avevano già analizzato l'obesità come fenomeno “socialmente contagioso” - hanno verificato, così, che tra un ex-fumatore e un altro esistono non più di due o tre gradi di separazione. Se in un gruppo, dunque, qualcuno dice di no alle sigarette, nel giro di poco tempo la buona parte della rete di conoscenze a questo legata smette. Nessun cambiamento, invece, nelle reti di fumatori dove questa “miccia” non viene innescata.

In generale l'influenza maggiore nello smettere di fumare è esercitata tra i coniugi (se la moglie dice basta alla sigaretta, per esempio, la possibilità che il marito invece continui crolla del 67 per cento), seguiti dagli amici (36 per cento), dai colleghi di lavoro di piccole aziende (34 per cento) e da fratelli e sorelle (25 per cento). Non ha invece effetti rilevanti il legame di vicinato. Infine, a fare da propulsore sono le uscite di gruppo: la classica comitiva che va al cinema e al ristorante è in grado di provocare un forte effetto imitativo. Chi continua a fumare sarebbe destinato, secondo gli autori, a una vita di relazione più marginalizzata, relegata – anche geograficamente - là dove le sigarette sono più tollerate.

“I risultati di questo studio”, sostengono Christakis e Fowler, “devono essere attentamente valutati nelle future campagna anti-fumo, valorizzando il ruolo di convincimento sociale esercitato dalla comunità”. (l.s.)
galileonet.it


 
 
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