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La tribù Bishnoi
I precursori indiani degli ecologisti, pronti a morire per salvare un’albero
Si fecero massacrare abbracciati alle loro piante. Ancor oggi sono martiri di chi fa violenza alla Natura. Hanno regole severe di disciplina vegetariana e ambientalista: evitano persine di scavare per non rischiare di schiacciare lombrichi e insetti. Viaggio tra i Bishnoi, un popolo di sei milioni di guardiani della Terra
di Raimondo Bultrini (foto: Subhash Sharma)
Venerdì di Repubblica n982, 12/01/2007
Jodhpur (Rajasthan).
Il sole non è ancora sorto oltre le basse dune già visibili all'orizzonte.
Una luce intensa tra il rosa e il viola proietta al centro della pianura l'ombra dei solitari alberi di khejadi, alti come tre uomini.
Sembrano sentinelle in allerta tra i cespugli di questo angolo del deserto di Thar, regno dei Bishnoi. A mezz'ora dall'antica città di Jodhpur, nella sua linda casa di mattoni con larghe stanze ariose e una veranda all'aperto, Shri Dholaram Beniwal si è già lavato da capo a piedi e prega a testa coperta per qualche minuto Lord Vishnu e Jambaji Bhagawan, incarnazione del Dio hindu che fondò la sua sètta cinque secoli fa.
Davanti alle immagini sacre e a una candela simbolo del fuoco, dove si dice riflessa l'essenza del Guru, Dholaram ripete alcuni dei 29 Comandamenti che danno il nome alla tribù Bishnoi.
Bish (venti) e noi (nove), tante quante furono le rigide prescrizioni fissate nel XVI secolo dal guru Jambeshwar per preservare la vita dei discepoli, degli altri uomini, degli animali e delle piante.
Jambeshwar non solo impose di difendere e mantenere puri il corpo e l'ambiente, ma attraverso preghiera e azioni positive insegnò a eliminare dalla mente ogni carico inutile, frutto dell'avidità e del desiderio di possedere i oltre il minimo per il fabbisogno.
Da allora il suo panth, la comunità dei devoti che conta attualmente sei milioni di stretti vegetariani disseminati tra il Rajasthan e le regioni limitrofe, è entrato di diritto tra le leggende del subcontinente.
Oggi in India i Guardiani della Terra sono la più ammirata, ma anche la più i temuta, tribù dell'Asia.
Temuta da cacciatori, organizzatori di safari e loro ricchi clienti, commercianti di legno e speculatori edili, perfino politici che hanno bisogno dei loro voti, il sacrificio di una donna chiamata Amrita Devi e di altri 362 Bishnoi morti tre secoli fa abbracciando i rari alberi di khejadi per salvarli dai boscaioli del Maharaja di Jodhpur, ispirò e diede perfino il nome - Chipko, parola sanscrita traducibile con “abbracciare” - a un i celebre movimento di attivisti gandhiani i nel Nord dell'India.
Lo guidarono negli i anni 70 e 80 figure carismatiche come Sundarlal Bahuguna che riuscirono a salvare coi loro corpi abbarbicati ai tronchi migliaia di ettari di verdi foreste dell'Himalaya minacciate dalle motoseghe.
“Bahuguna una volta venne qui” racconta Shri Dolji Khawa, sarpanch (capo del i villaggio) di Guda Bishnoia “e ci disse i esplicitamente che il nostro Guru aveva spiegato cinquecento anni fa ciò che il mondo sta cominciando a capire adesso”.
La filosofia del fondatore dei Bishnoi non ha influenzato solo la politica degli ambientalisti indiani. Intere tribù e caste come i pastori Raikas del Rajastan settentrionale si sono convinte a interrompere pratiche spesso cruente come il sacrificio di bufali, capre e polli agli dèi.
Una mistica missione cominciata sul pianeta Terra ben prima che gli scienziati scoprissero le cause dell'effetto serra:
“I Bishnoi conoscono le i conseguenze dello squilibrio naturale” ha scritto un antropologo della Delhi University, Vinay Kumar Srivastava.
“Sanno che la relazione tra esseri e ambiente è sinergica e che gli uomini devono garantire questo equilibrio e non alterarlo”.
Perfino i re dovettero cedere di fronte alla caparbia fede nell'unicità e interconnessione di tutto il Creato.
La storia narra che quando seppe del sacrificio di Amrita Devi, delle sue tre fìglie e degli altri fedeli di Jambaji giunti da 84 villaggi per offrire la loro vita in cambio degli alberi, il re Abhai Singh si recò personalmente sul luogo del massacro.
Non solo si scusò per gli eccessi dei suoi uomini, ma proclamò un editto, ancora in vigore, che vieta il taglio delle piante nei tenitori della tribù e prevede pene pesanti per chi uccide un chinkara, la gazzella indiana, o peggio ancora l'antilope nera a rischio di estinzione.
Chi ha tentato di sfidare il divieto, comprese celebri star del cricket e del cinema come l'attore di Bollywood Salmam Khan, è stato condannato al carcere o ha potuto evitarlo solo con forti cauzioni.
Il governo indiano ha anche istituito un premio ufficiale intitolato ai martiri di Khejarli.
Quasi inevitabilmente lo vince un Bishnoi, spesso un altro martire come Ganga Rarn, che il 12 agosto di sei anni fa nel distretto di Cheri fu ucciso dai bracconieri per salvare le gazzelle.
Ultimo caduto - il giorno 26 di aprile del 2006 nel villaggio di Nandi, a poco più di un'ora da Jodhpur - un altro giovane ucciso da cacciatori dell'etnia Bhil.
L'etica dei Bhil è esattamente agli antipodi dei princìpi Bishnoi: loro uccidono e macellano animali, tagliano e bruciano alberi verdi, in alcune regioni del Madhya Pradesh sono considerati addirittura una “tribù criminale”.
“Saremo pure gli ultimi della terra, ma gli animali sono anche nostri e servono per sfamarci”, si difende biascicando per effetto dell'oppio il vecchio Paburam Bhil.
Sebbene molti tra gli stessi Bishnoi siano irrispettosi delle tradizioni e membri di gang criminali che contrabbandano e trafficano apheem, l'oppio, si è moltiplicata la loro influenza sul destino del settimo deserto più arido del pianeta.
Se polizia e magistrati non agiscono subito dietro loro richiesta a far arrestare cacciatori di frodo o tagliatori di alberi, Jodhpur si paralizza per manifestazioni e blocchi stradali.
Shri Dholaram, uno di questi crociati, mostra con orgoglio le decine di attestati e medaglie ricevute da governo, fondazioni ecologiste e Ong nella lunga carriera di sentinella del deserto.
Non nega che ha dovuto spesso “usare le maniere forti”.
Ma alla fine è riuscito “ad allontanare i vicini più pericolosi” e le gazzelle sono tornate a pascolare liberamente nei campi e a mangiare dalla sua mano.
Per spiegare l'origine del mito di questi ambientalisti ante litteram l'antropologa Meera Ahmed racconta che “durante il regno chiamato Marwar, nel 1458, una carestia imperversava nelle terre di Marusthal”, che vuoi dire “terre della Morte”.
Migliaia di contadini volevano emigrare, ma il Guru Jhambeshwar li fece riflettere sulle vere cause del flagello: non era la natura - disse - la causa originaria dei disastri, bensì l'intervento degli uomini contro la natura.
“Jambaji disse che durante Satyug, l'èra della creazione, quando la vita era basata su verità e religione, il deserto era verde e ricco di vita animale al contrario del presente Kalyug, èra del vizio e del peccato”.
Lo studio della morfologia di questi 600 chilometri quadrati di sabbie e scarna vegetazione sembra confermare che in un'epoca imprecisata - alcune migliaia di anni prima di Cristo - ancora scorreva lungo l'intero suo letto il Ghaggar Hakra, identifìcabile col leggendario Sarasvati della mitologia vedica, culla delle antiche civiltà dell'IndoBaghwan Jambeshwar era nato in un villaggio chiamato Peepasar, quando l'attuale distretto di Nagaur era già da tempo arida sabbia.
Girando come un predicatore solitario, implorò i contadini di non abbandonare i poveri esseri indifesi e i pochi alberi rimasti alla mercé del caldo e della sete, e di costruire per loro cisterne d'acqua accessibili o scavare pozzi. Da allora i loro emblemi sono il khejadi, ricco di proteine e prova vivente della munifica Natura compassionevole, e la gazzella, simbolo della sua fragilità: le donne Bishnoi arrivano a nutrire col loro stesso latte i cuccioli di cinkara orfani della mamma.
All'epoca del Guru le condizioni igieniche delle genti del deserto erano tali che pochi bambini riuscivano a sopravvivere.
Per questo molti dei 29 Comandamenti dei Bishnoi sono regole igieniche come il bagno mattutino, il filtraggio dell'acqua e del latte.
Durante il primo mese di allattamento le donne vengono addirittura relegate con il neonato in un luogo isolato al fine di evitare stress e possibili infezioni, e lo stesso accade durante il periodo mestruale.
Tutti i 29 dogmi sono basati su un concetto estremo di purificazione e di rinuncia a ogni azione che possa provocare cattivo karma, ovvero indelebili macchie nella coscienza originarla sotto forma di parole, azioni e pensieri.
Il primo nucleo di discepoli di Jambaji, di ceto alto induista, fu formato anche da musulmani che non se la sentivano di chiedere ad Allah l'assoluzione dal peccato di aver ucciso una sua creatura.
Uno dei rituali sopravvissuti intatto nei secoli è il digiuno del novilunio. “Vishnu avrebbe generato ogni cosa in terra durante il giorno di luna nera detto amavasya” racconta Meera Ahmed “e si considera necessaria ancora più compassione e misericordia per salvare gli esseri dalle tenebre ed evitare le interferenze nefaste degli astri. Non si scava la terra per non ferire o schiacciare lombrichi e insetti, non si beve il latte, né si raccolgono le spighe di grano”.
Dholaram Beniwar aggiunge che non si fa nemmeno l'amore. “L'astinenza serve a esercitare il controllo sul desiderio che genera azioni negative”, dice.
Sono applicazioni temporanee della via estrema di rinuncia ai piaceri mondani seguita e predicata anche da molti semplici asceti indiani. Ma per il loro collettivo puritanesimo, pratico e materiale, i Bishnoi ritengono il loro credo infinitamente superiore a qualunque altro.
Una superiorità insita nel concetto di Dio espresso dai celebri sabadvani del Guru.
Come quello dedicato ai saddhu Naga, che rinunciano anche a coprirsi. “È inutile girare nudi per mostrare devozione a Dio. Anche gli animali sono nudi”, è scritto.
Gli stessi musulmani furono oggetto delle sue strofe: “Non serve a nulla gridare forte il nome di Allah” disse “perché Dio può udire anche il passo delle formiche”.
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