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Antibiotici sempre più inefficaci
È sempre più alto l'allarme per i superbatteri. E le industrie farmaceutiche non investono nella ricerca. In Italia, intanto, una banca dati nazionale sta facendo il censimento di tutti i microbi più aggressivi.
Il paesaggio che fa da sfondo alla storia non è proprio splendido. Il protagonista, un nome come tanti altri suoi simili, Bacteroides thetaiotomicron, trascorre la vita nel colon. Di lui sarebbe rimasta traccia solo in noiosi testi universitari se non avesse deciso di fare la guerra agli antibiotici, in particolare alla eritromicina. E, indirettamente, agli umani che ne fanno uso. Per quanto odioso sia, bisogna dargli atto di grande furbizia.
A un certo punto ecco arrivare nell'organismo, dopo esser stati respirati o deglutiti, individui di altre specie, stafilococchi e streptococchi. Non sfugge al Bacteroides thetaiotomicron che sono microbi resistenti alla eritromicina: mutazioni genetiche hanno reso qualche loro antenato resistente all'antibiotico e quello, riproducendosi, ha trasmesso alle generazioni successive la caratteristica. Perché non conoscerli da vicino? Uno stafilococco passa così al nostro batterio un plasmide, ossia un pezzetto di dna con il gene giusto per diventare pressoché immortale anche in presenza di eritromicina.
Talenti simili fra i batteri si sprecano. Ed è per questo che la resistenza agli antibiotici è diventata (sin dai tempi dell'introduzione della penicillina), uno dei problemi della sanità pubblica più urgenti, in tutto il mondo: più somministriamo antibiotici, più si formano ceppi resistenti.
A peggiorare le cose è il fatto, non irrilevante, che mentre i vecchi farmaci perdono via via efficacia, le industrie farmaceutiche non investono a sufficienza in nuove classi di antibiotici, preferendo puntare su medicinali «blockbuster» con un ritorno economico decisamente più elevato (per patologie cardiovascolari o croniche, per esempio, o per malattie come ansia e depressione). La maggior parte degli antibiotici oggi utilizzati sono stati scoperti negli anni tra il 1940 e il 1950.
Anche quando, di rado, un antibiotico innovativo viene messo a punto, spesso, lo scenario si complica. La rivista Nature dà notizia della scoperta di un promettente antibiotico, «il primo di una nuova classe trovato in oltre due decenni». Ma gli esperti temono che gli ostacoli per trasformare il composto, la platensimicina (capace di eliminare molti dei batteri resistenti) in un farmaco disponibile sul mercato rendano questa promessa inattuabile.
Sono gli ospedali il luogo ideale per la nascita dei batteri resistenti. Gli ultimi dati dicono che in Italia il 10 per cento dei pazienti viene colpito da un'infezione contratta durante il ricovero, mentre sono circa 500 mila le persone contagiate, il 50 per cento residente al Sud.
Per arginare il fenomeno è stata avviata da poco la seconda fase del progetto Patologie gravi e farmacoresistenza: una banca dati nazionale di tutti i batteri che sono insensibili agli antibiotici e causano gravi infezioni. L'idea è censire i ceppi, studiare per ognuno l'intero spettro di suscettibilità ai farmaci e costruire una mappa, zona per zona, utile agli operatori sanitari per prevenire infezioni e ottimizzare le terapie.
«A luglio 2005 abbiamo concluso la prima fase, isolando circa 5.600 ceppi batterici» riferisce Antonio Cassone, coordinatore del progetto e direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità (Iss). «Risulta che oltre un quarto dei batteri che causano infezioni chirurgiche, oppure setticemie, polmoniti, endocarditi e ascessi profondi, è resistente a uno o più antibiotici comunemente usati in questi casi».
Adesso che il progetto è stato rifinanziato dal ministero della Salute si potrà conoscere l'evoluzione del fenomeno, integrare la banca con nuovi dati di ospedali non studiati, con l'obiettivo finale di censire fino a 10 mila ceppi e scoprire quali sono quelli emergenti. Ogni medico potrà chiedere all'ospedale che si trova nella propria zona e ha partecipato allo studio dettagli sui ceppi presenti e informazioni sulle terapie idonee ai diversi casi.
Di storie come quelle del Bacteroides thetaiotomicron lo studio italiano ne offre in quantità. Cattivi per antonomasia lo Staphylococcus aureus, lo Pseudomonas aeruginosa e l'Escherichia Coli, il Clostridium difficile: in qualunque reparto ospedaliero si vada, loro ci sono.
Il primo ha l'aspetto di un bastoncello, basterebbe prelevare un campione, esaminarlo al microscopio e nel 20 per cento dei casi lo si vedrebbe. Estremamente resistente agli antibiotici, provoca polmoniti, setticemie, infezioni da catetere, congiuntiviti, riniti, cistiti e meningiti. Il secondo, dalla forma rotondeggiante, provoca ascessi, foruncoli, favi, mastiti, setticemie ed endocarditi.
Il terzo, più piccolo, un po' frondoso, è diffuso nell'ambiente, negli alimenti e nel tratto digerente. Alcuni antibiotici non fanno altro che eliminare nel nostro intestino batteri suoi concorrenti. Con il risultato che lo Pseudomonas aeruginosa, senza più rivali diviene pericoloso. L'ultimo, il Clostridium difficile, è già diventato l'incubo di molti reparti ospedalieri, dove causa diarrea, febbre alta, dolore intenso all'intestino.
Ogni batterio ha il suo habitat preferito. Lo Stenotrophomonas maltophilia è diffuso nelle acque, nel suolo, così come nella flora batterica intestinale (dove normalmente è innocuo), ma si trova benissimo anche negli apparecchi ospedalieri, nelle macchine per la fabbricazione del ghiaccio e negli umidificatori.
Opportunisti quelli del genere Enterococcus, che si diffondono nei pazienti con poche difese immunitarie. Molto diffusa anche la Klebsiella: vive nell'apparato urinario e nell'intestino, e non solo ha acquisito resistenza, ma è pronta ad approfittare di un antibiotico che uccide le specie concorrenti della flora per causare gravi infezioni.
«Capire meglio i meccanismi con i quali i batteri si trasmettono la resistenza, fra loro e da specie a specie, è ciò di cui stiamo discutendo» spiega Gianmaria Rossolini, docente di microbiologia clinica all'Università di Siena. «Alla mappa potremo in futuro affiancare indagini di biologia molecolare». Su una base ormai condivisa: «La resistenza si sviluppa attraverso le mutazioni genetiche del batterio oppure attraverso il passaggio da un batterio a un altro di integroni, cioè frammenti di dna presenti nei cromosomi o nei plasmidi».
A questo proposito, un recente articolo di Nature annuncia una scoperta che potrebbe segnare un punto a favore dell'uomo nella lotta alla resistenza agli antibiotici: ricercatori francesi dell'Istituto Pasteur di Parigi hanno mostrato che alcune sequenze di integroni assumono una particolare struttura tridimensionale. E in futuro potrebbero divenire bersaglio di particolari farmaci.
Lo scorso 29 maggio, a Venezia, nel corso di un convegno organizzato dall'European society of clinical microbiology and infectious diseases (Escmid), si è discusso della resistenza alle cefalosporine, antibiotici a largo spettro molto utilizzati.
«Occorre ormai percorrere altre strade, dato che batteri come l'Escherichia coli e la Klebsiella pneumonia hanno sviluppato meccanismi di resistenza molto efficaci» avverte Giuseppe Cornaglia, presidente dell'Escmid e docente al dipartimento di patologia dell'Università di Verona.
Questi meccanismi vanno sotto il nome di Esbl: «Si tratta di enzimi che tagliano la molecola di cefalosporina rendendola inefficace» afferma Cornaglia. «Insieme ai colleghi europei, cercheremo di puntare a possibili terapie alternative».
Luca Sciortino
Panorama.it
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