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Ecologia Corsa senza fine

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E se un giorno tutte queste armi si rivoltassero contro di noi?

di Roberta Pizzolante

Un mercato che vale circa 956 miliardi dollari, con un incremento nel 2003 pari all'11 per cento rispetto all'anno precedente. È quello legato alla spesa militare. Che vede in prima linea gli Stati Uniti con il 47 per cento del totale mondiale, pari a 450 miliardi di dollari. Seguono il Giappone con il cinque per cento, e la Gran Bretagna, la Francia e la Cina, ciascuna con il quattro per cento del totale. È quanto afferma il rapporto 2004 dell'Istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca sulla pace (Sipri), secondo il quale "le spese militari rischiano di raggiungere livelli insostenibili". Una maggiore spesa militare infatti corrisponde anche a un impegno maggiore nell'esportazione di armi: cacciabombardieri, siluri e cannoni che dai paesi sviluppati prendono il largo versi quelli in via di sviluppo. Dove, nella maggior parte dei casi, vigono ancora regimi dittatoriali, dove si pratica la tortura, dove avvengono sistematiche violazioni dei diritti umani. Si tratta per lo più di paesi che vivono un conflitto interno, come precisa il rapporto: dei 19 conflitti armati del 2003, infatti, solo due sono stati combattuti tra Stati, cioè quello tra l'Iraq e la Coalizione degli Usa e quello tra India e Pakistan.
Fra le armi esportate ci sono anche quelle dell'Italia, dove nel 2003 le autorizzazioni concesse dal Ministero degli Esteri sono cresciute del 39,4 per cento e le consegne di materiale del 29,2 per cento. Secondo la relazione annuale governativa sul commercio di armi italiane, infatti, il valore dell'export di armamenti è di un miliardo e 282 milioni di euro contro i 920 del 2002. Le operazioni effettuate sono passate da 487 a 630 milioni. E più della metà dei sistemi di armi sono esportati a paesi del sud del mondo.

Il primo paese acquirente delle armi italiane è la Grecia, destinataria di velivoli da trasporto per una cifra che si aggira intorno a 240 milioni di euro, pari al 19,35 per cento del totale. Fra i paesi occidentali vi sono anche la Francia, la Danimarca, gli Stati Uniti, la Finlandia e la Polonia. Ma i clienti più importanti si trovano nel sud del mondo: a loro va il 53 per cento delle autorizzazioni e il 54 per cento delle consegne. La Malesia, per esempio, dove vige la tortura e si effettuano esecuzioni sommarie, ha effettuato ordini per circa 166 milioni di euro, ricevendo cannoni navali, siluri e radar. Il terzo cliente è la Cina che riceve dal nostro paese autorizzazioni per 127 milioni di euro, un livello mai raggiunto delle vendite a Pechino. E quanto mai preoccupante se si pensa che l'Unione Europe ha imposto un embargo alla vendita di armi alla Cina nel 1989, dopo il massacro di Piazza Tienanmen. Anche lo scorso dicembre l'Europarlamento ha dovuto ribadire la necessità dell'embargo di fronte alle pressanti richieste di Francia e Germania per una sua abolizione. "La situazione dei diritti umani nella Repubblica popolare cinese resta insoddisfacente, le violazioni delle libertà fondamentali continuano, così come le torture, i maltrattamenti e le detenzioni arbitrarie" come si legge in una risoluzione dell'Unione Europea.

Oltre che alla Cina, le armi made in Italy arrivano all'India (26 milioni) e al Pakistan (70 milioni), gli unici due stati in conflitto secondo il Sipri. Ancor meno cautele si usano verso il Medio Oriente e l'Africa, mercati da 198 milioni e mezzo euro. Lo scorso anno l'Arabia Saudita ha ottenuto dal governo italiano autorizzazioni a ricevere armi per oltre 109 milioni di euro, il Kuwait per un valore di oltre 35 milioni e gli Emirati Arabi di oltre 25 milioni di euro. Sempre secondo la relazione governativa, la Siria riceve apparati di controllo del tiro per carri armati, pagando 56 milioni di euro. Un mercato in forte ripresa è quello verso l'Africa: in Egitto sono arrivate armi per un valore di oltre 41 milioni di euro, alla Nigeria per tre milioni e mezzo di euro, alla Tunisia per quasi un milione di euro. E sono state già concesse nuove autorizzazioni anche al Marocco, al Sud Africa, allo Zambia, al Ghana. Per dare un'idea, la vendita di armi all'Africa è il triplo del valore delle protesi dentarie esportate ed è dieci volte maggiore del valore complessivo di tutte le protesi ortopediche che l'Italia ha inviato in quel continente.
(galileonet.it)


 
 
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