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Spaghetti ‘western’ al diserbante.
Date: Sabato, marzo 03 @ 00:12:35
Topic Ecologia


Di che grano è fatta la pasta che mangiamo? Il successo della pasta ha promosso la coltivazione del grano duro anche in luoghi molto diversi per clima e tecniche colturali dall’area mediterranea

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6 gennaio 2012 | Autore Lino Bottaro |


fonte: http://www.ilcambiamento.it/ecosistemi/e


Gli italiani sono ancora grandi mangiatori di spaghetti, rafforzati, nelle loro scelte alimentari, dai riconoscimenti (decisamente eccessivi NdR) che nutrizionisti di tutto il mondo tributano alla dieta mediterranea.

Il grano duro, che ne è l’esclusivo ingrediente, viene tradizionalmente coltivato nei paesi mediterranei, che sono anche l’areale d’origine della varietà.

Ma il successo della pastasciutta e la crescente richiesta di grano duro ha promosso la coltivazione di questo cereale anche in luoghi molto diversi per clima e tecniche colturali.

Gli USA ed il Canada meridionale sono diventati grandi produttori di grano duro, ma il clima freddo e continentale di queste regioni costringe gli agricoltori a posporre il periodo di coltivazione (tradizionalmente invernale-primaverile).


La semina avviene quindi in primavera ed il raccolto a fine estate, ma una trebbiatura così tarda espone al rischio d’intersecare l’arrivo delle piogge autunnali, che oltre a ritardare la maturazione della spiga (vetrificazione del seme) riempiono i campi di infestanti verdi che ostacolano il lavoro delle mietitrebbie.

Con il consueto pragmatismo ed il disinvolto ricorso alla chimica che contraddistinguono la cultura di questi paesi, gli agricoltori hanno introdotto l’uso del glyphosate in pre-raccolto. Ossia trattano, con un disseccante micidiale come il Round Up della Monsanto, le colture di grano duro appena 10-15 giorni prima del raccolto.

Questa procedura accelera il processo di vetrificazione del chicco e dissecca le infestanti, ma al contempo rende sterile il seme, e lo inquina irrimediabilmente con un potente agente chimico il cui uso in Europa è categoricamente proibito sulle colture destinate ad alimentazione.


Se non si acquista pasta certificata di grani italiani, si rischia di mangiare un prodotto altamente insalubre
In altri tempi questo problema non ci avrebbe dovuto impensierire. In Italia, infatti, fino agli anni ’90, la produzione italiana di grano duro era sempre stata eccedente ai consumi nazionali, ma oggi questo non è più vero.

Inoltre pare che questo trattamento chimico migliori la resa proteica del grano, rendendolo particolarmente appetibile ai pastai nostrani, specie quelli delle grandi industrie agroalimentari.

Il risultato è che, se non si acquista pasta certificata di grani italiani, si rischia di mangiare un prodotto altamente insalubre.

Questo episodio potrebbe essere preso a paradigma del funzionamento della Shock economy che ci governa: si coltiva un cereale fuori dal suo areale naturale; per farlo si usano prodotti chimici che costano, lo rendono inadatto al consumo, rendono sterili le sementi ed inquinano le falde idriche, poi si consumano carburanti per fargli attraversare oceani, dal luogo di produzione a quello di consumo.

Da noi invece i campi, dove prima si coltivava il grano duro, vengono asfaltati o coperti di pannelli solari o destinati alla produzione di biocarburanti (convenienti solo in virtù di lauti incentivi pubblici). Questo insensato processo produttivo è reso possibile perché basato sull’imperativo della crescita indiscriminata del PIL, crescita alla quale concorrono anche le attività dissipative o distruttive, soprattutto perché seguite da quelle emendative (ripristini, ricostruzioni, bonifiche, depurazioni, cure mediche).

Questo almeno fino a quando le poche residue risorse del pianeta ci culleranno nella ridicola illusione di vivere nel migliore dei mondi possibili.

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