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Il sorriso modifica il Dna
Date: Mercoledì, luglio 27 @ 00:19:47
Topic Fisiologia


Avere a che fare con persone sorridenti può modificare il Dna e i geni in positivo e influenzare la produzione di proteine

Luglio 2011

Vedere facce sorridenti può influenzarci più profondamente di quanto non pensiamo; si parla addirittura a livello del codice dei codici, il Dna.
Questo è quanto afferma un nuovo studio condotto da un team di ricercatori dell’Università di Cambridge e dell’Università di Reading.

Il dottor Bhismadev Chakrabarti e il professor Simon Baron-Cohen hanno pubblicato i risultati del loro studio sulla rivista Molecular Autism, di BioMed Central, e ritengono che questa scoperta possa avere delle implicazioni nella comprensione dei meccanismi che sottendono all’autismo.
Quello che è stato osservato dei due scienziati, in particolare, è che la visione di volti sorridenti provoca delle varianti del gene recettore dei cannabinoidi (CNR1) che modificano la quantità di tempo che le persone trascorrono guardando facce felici.

Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno coinvolto nello studio 28 volontari adulti a cui è stato monitorato e testato lo sguardo per valutare quanto tempo i partecipanti osservavano gli occhi e la bocca di persone che venivano loro mostrate in una serie di videoclip. I volti che apparivano esprimevano emozioni diverse.
L’analisi ha permesso di individuare due variazioni – o naturali mutazioni – su quattro polimorfismi in CNR1 correlati con un’osservazione per maggiore tempo nei confronti di facce felici. Cosa che non avveniva quando ai volontari apparivano facce con espressioni che mostravano avversione.
Questi due centri genomici coinvolti dall’osservazione delle facce felici rientravano nella parte del DNA che non codifica proteine, ma che invece può essere coinvolto nella regolazione della produzione di proteine.

«Questo è il primo studio ad aver mostrato che quanto più tempo fissiamo un volto è influenzato dal nostro corredo genetico. Se replicato, ciò ha profonde implicazioni per la nostra comprensione nel modo di socializzare e, a sua volta, l’uso atipico dello sguardo nell'autismo», ha concluso Chakrabarti.
[lm&sdp]

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