Il numero di luglio 2007 di The Scientist pubblica un articolo estremamente critico contro la sperimentazione animale nella ricerca medica e nello sviluppo di nuovi farmaci.
L'articolo, molto approfondito e circostanziato, mostra in quali modi e per quali motivi le ricerche e i test di farmaci fatti sugli animali sono del tutto inutili: non solo per l'ovvia differenza tra le specie, ma anche per altre ragioni più complesse. L'analisi prende le mosse dal fallimento dei test sui pazienti umani dell'ultima sostanza contro l'ictus cerebrale ischemico che sembrava così promettente quando provata sugli animali, l'NXY-059, ma si allarga poi a esaminare i motivi delle tantissime discrepanze tra risultati su animali e su umani, perché questo è tutt'altro che un caso isolato.
Ne emerge un quadro assolutamente desolante, che dà ancora una volta ragione al crescente movimento scientifico antivivisezionista.
Le difficoltà di usare i modelli animali per studiare le malattie umane derivano com'è noto dalle differenze metaboliche, anatomiche, cellulari tra gli umani e gli altri animali, ma i problemi sono anche altri, e non sono eliminabili.
Per il modo stesso in cui i test sono effettuati, i risultati vengono per forza falsati, per cui non sarebbero validi nemmeno se si studiassero le malattie di quella specie animale, figuriamoci poi cercare di traslare i risultati sugli umani.
Ad esempio, Jeffrey Mogil, ricercatore in psicologia della McGill University di Quebec, spiega che i topi mostrano un "dolore empatico" verso i loro compagni di gabbia che stanno male. Vale a dire, se vedono un loro compagno che sta male, mostrano anche loro i sintomi del malessere, e un osservatore esterno difficilmente riesce a distinguere i due casi. Un altro esemepio è quello dell'influenza dei ricercatori stessi: la sola presenza del ricercatore può alterare il comportamento dei topi. E questo falsa ogni tipo di statistica e rende il test privo di valore.
Ci si aspetta che chi usa animali sia convinto dell'efficacia e scientificità delle sue azioni, se non altro, e quindi esegua i propri esperimenti scegliendo la specie "più adatta" secondo criteri scientifici (almeno, dal suo punto di vista). Ma così non è: gli animali sono scelti in base a criteri economici e di praticità, quindi "a caso", per quanto riguarda l'aspetto scientifico.
Dichiara infatti Michael Festing, uno scienziato esperto di animali di laboratorio, da poco in pensione, che lavorava presso il Consiglio per la Ricerca Medica del Regno Unito: "La scelta della specie animale è piuttosto limitata. Esistono 4.000 specie di roditori, ma ne usiamo solo tre o quattro. E c'è scarsità di qualsiasi cosa che non sia un roditore, e in alcuni casi siamo costretti a usare cani e gatti, il che è un problema dal punto di vista etico, e primati, anche loro un problema dal punto di vista etico. Così la scelta del modello animale è fatta automaticamente: eliminando tutti quelli che non vanno bene, e scegliendo quel che rimane."
"Quel che rimane da augurarsi" dichiarano gli attivisti di AgireOra Network, che ha diffuso sul suo sito un articolo che riporta i punti più importanti dell'articolo di The Scientist "è che, grazie ad articoli come questo, che iniziano a essere più diffusi rispetto ad anni fa, la scienza medica sperimentale inizi a diventare più 'rispettabile' sia dal punto di vista etico che scientifico, eliminando al più presto i test di qualsiasi tipo su animali, inutili, fuorvianti, obsoleti."
Comunicato di:
AgireOra Network
Note:
Fonte: The Scientist, The Trouble With Animal Models - Why did human trails fail?, di Andrea Gawrylewski, luglio 2007
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