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Ecologia Smog e mortalità

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Il rischio di morte aumenta all'aumentare delle polveri sottili -
2013

(Ansa)

Giorno dopo giorno, anno dopo anno, l'inquinamento dell'aria può uccidere. Di tumore, insufficienza respiratoria, ma soprattutto infarto, ictus, scompenso. Alcuni studi soprattutto statunitensi avevano già osservato una relazione tra l'esposizione protratta a gas di scarico e mortalità. Ora uno studio italiano conferma questi dati in modo davvero molto solido. Non è una ricerca qualunque infatti quella che il gruppo guidato da Francesco Forastiere del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio ha condotto su un milione e duecentomila abitanti di Roma fra il 2001 e il 2010 e pubblicato ieri su Environmental Health Perspectives.
LO STUDIO - E' sicuramente il più grande studio epidemiologico italiano sull'inquinamento, e fra i maggiori al mondo. I ricercatori della eccellente scuola romana di epidemiologia ambientale hanno infatti ricostruito la mortalità nella capitale dell'ultimo decennio, e sono riusciti ad attribuire con una certa precisione quanto peso in questo bilancio abbiano due inquinanti quali il particolato sottile (PM2,5) e il biossido di azoto (NO2). A ogni aumento di 10 µg/m3 (microgrammi per metro cubo) di polveri e biossido di azoto si ha un aumento medio del rischio di mortalità rispettivamente del 4 e del 6 per cento, in linea con quanto osservato in altri studi europei e statunitensi. Percentuali che aumentano considerevolmente al crescere dell'esposizione.

LE SOGLIE - Cattive notizie, quindi, che sono già state prontamente recapitate alla Commissione europea che proprio in queste settimane sta rivedendo i limiti per gli inquinanti atmosferici che i paesi europei dovranno rispettare nei prossimi anni. E pare non in modo più restrittivo, anzi. Esiste più di un timore che si vogliano addirittura alzare le soglie fissate dalla direttiva europea più recente (quella del 2008), che poneva 25 µg/m3 per il PM2,5 e 40 µg/m3 per il biossido d'azoto. A meno che la comunità scientifica non riesca a fornire solide prove scientifiche della loro pericolosità anche al di sotto queste soglie.

LE PROVE - Ed eccole le prove: lo studio romano infatti mostra come la relazione fra veleni e mortalità sia «lineare» , il che vuol dire che a qualunque esposizione – per quanto bassa – si può registrare un effetto sullo stato di salute della popolazione, e che questo effetto sale dritto come un fuso con il crescere dell'esposizione ai gas e alle polveri. Ma come hanno fatto a misurare questa relazione? Quasi un milione e mezzo di romani sono stati associati a determinati livelli di esposizione dei due inquinanti in base a misure campione effettuate in diverse stagioni, i dati delle centraline e modelli statistici di dispersione in grado di fornire un «identikit tossico»praticamente a ogni angolo della città eterna. Un altro modo per misurare l'esposizione è consistito nel misurare la distanza dei residenti dalla rete stradale più trafficata, monitorata dalle mappe satellitari (Guarda l'immagine) Fatto questo, i computer hanno macinato i dati associando sede di residenza delle persone decedute con i dati di traffico e di inquinamento.

I RISULTATI - I risultati sono chiari: ad ogni aumento di 10 µg/m3 di biossido di azoto il rischio di mortalità generale cresce del 3%, per malattie respiratorie del 3%, per tumore al polmone del 4%, per malattie ischemiche del 4%. Risultati simili ma più pronunciati per il PM2,5 (fino a un più 10% per le malattie di cuore). Ma l'inquinamento non colpisce tutti i romani allo stesso modo. Nella capitale, infatti la concentrazione media annuale dei due inquinanti (PM2,5 e NO2) è rispettivamente 23 e 44 µg/m3, quindi già superiore rispetto agli attuali limiti di legge. Ma a seconda delle zone il livello varia da 7 a 34 µg/m3 (per le polveri sottili) e da 13 a 75 µg/m3 (per il biossido). Si arriva così, fra i residenti delle zone più inquinate – fra cui il centro storico – a tassi di rischio anche superiori al 10%. I risultati presentati nello studio – corretti per potenziali fattori confondenti come lo stato socioeconomico e civile, il livello di scolarità e abitudini come fumo e alimentazione – confermano il contributo dell'inquinamento alla mortalità per malattie respiratorie croniche e tumori al polmone, ma mettono in luce soprattutto quanto lo smog si accanisca sulla salute di cuore e arterie. Con una predilezione verso gli uomini rispetto alle donne, e le persone relativamente giovani (fino a 60 anni) rispetto a quelle più anziane. Terranno conto i legislatori europei di questi nuovi dati?

Luca Carra


 
 
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