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Alimentazione Una dieta sana protegge da molte malattie

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Diminuisce l'infiammazione corporea

-
2013

Cambiare la propria dieta, secondo un nuovo studio, può funzionare in modo veloce e semplice nel ridurre l’infiammazione del corpo, ritenuta responsabile di molte malattie, anche gravi, come quelle cardiovascolari, Alzheimer, diabete, morbo di Crohn, artrite reumatoide e cancro
Se si vuole ottenere un risultato rapido ed efficace nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, la malattia di Alzheimer, l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn, il diabete di tipo 2 e anche alcuni tipi di cancro non c’è bisogno di ricorrere a chissà quali artifici: basta cambiare la propria dieta e, di conseguenza, ridurre l’infiammazione dell’organismo.

A offrire questa possibilità è uno studio coordinato dalla dottoressa Lynnette Ferguson, docente di Nutrizione presso l’Università di Auckland, in cui si afferma che bastano 6 settimane per ridurre significativamente l’infiammazione.
«L’infiammazione – spiega Ferguson nel comunicato Aukland – può essere il catalizzatore per malattie umane croniche, tra cui la malattia di Alzheimer, le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro, come pure varie malattie autoimmuni, tra cui l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn e diabete di tipo 2. E’ stato stabilito in molti studi che questa infiammazione può essere ridotta attraverso una dieta che comprenda un alto apporto di acidi grassi omega-3 a catena lunga, frutta e verdura, noci e cereali integrali; e che sia a basso contenuto di cereali raffinati, grassi saturi e zuccheri».

Una dieta più sana, dunque, per assicurarsi una maggiore protezione dalle malattie che più affliggono l’uomo moderno.
Ma qual è la dieta che maggiormente può assomigliare a quanto proposto dai ricercatori? Senza andare tanto lontano, è un tipo di dieta che abbiamo a portata di mano – o di forchetta, se preferite.
«Molti di questi componenti dietetici caratterizzano la “dieta mediterranea” – aggiunge infatti Ferguson – che ha dimostrato di proteggere contro le malattie croniche.

Ferguson e colleghi hanno proprio voluto investigare per scoprire se vi fosse tra la popolazione neozelandese una diffusione dello stato infiammatorio. Per questo hanno reclutato un gruppo di trenta persone sane – quindi all’apparenza senza infiammazione – per poi vedere se un cambiamento di 6 settimane nella loro dieta avesse un effetto sulla salute e la possibile infiammazione.
Per controllare i potenziali cambiamenti, i ricercatori hanno osservato il comportamento e la presenza di biomarcatori, compresa la proteina C-reattiva (CRP), che è un noto marcatore standard per l’infiammazione che può essere misurata mediante analisi del sangue.

Tutti i partecipanti erano caratterizzati dal seguire una dieta povera di nutrienti e sostanze utili: per esempio assumevano in prevalenza, o esclusivamente, cereali raffinati e cibi raffinati in genere. Per le 6 settimane di prova, i volontari sono stati invitati a seguire una dieta di tipo mediterraneo che comprendesse una maggiore quantità di verdure, frutta, pesce ricco di omega 3, cereali non raffinati, grassi “buoni” come l’olio di oliva e avocado. La dieta prevedeva anche l’assunzione di cibi privi di glutine.
I partecipanti sono stati suddivisi a caso in due gruppi: di cui uno con un intervento di tipo più deciso e l’altro con un intervento più contenuto. Costoro, durante il periodo di follow-up dovevano anche completare un diario e un questionario incentrati sullo stile di vita e la loro dieta. In più, dovevano partecipare a un workshop guidato da esperti dietologi.

«Questo era un piccolo studio – precisa la professoressa Ferguson – destinato a essere uno studio pilota per uno studio molto più grande con pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali come il morbo di Crohn, ma i risultati si sono rivelati statisticamente molto significativi».
Gli esami del sangue hanno confermato una riduzione dei biomarcatori per l’infiammazione in entrambi i gruppi. Tuttavia, nel gruppo dieta ad alto intervento l’espressione del gene era cambiata nel giro di 6 settimane.

«Questo è un risultato notevole – sottolinea Ferguson – poiché mostra che il cittadino medio, molti dei quali giovani e senza condizioni di malattia, può, attraverso un miglioramento della dieta, modificare sostanzialmente i biomarcatori che indicano il rischio di poter sviluppare una malattia cronica più tardi».

La dieta mediterranea si conferma dunque ancora una volta come una delle migliori opzioni per preservare e mantenere la salute – non dimentichiamolo.
[lm&sdp]


 
 
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