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Editoriali Guerre, attentati e omicidi. Ma oggi il mondo è più pacifico

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Si stava meglio quando si stava peggio? Pare proprio di no. Mai nella storia dell’uomo
è stato così raro subire violenze.

Ottobre 2011

GIANNI RIOTTA

Georghe Daniel Cimpoesu, il ragazzo romeno ucciso e mutilato a colpi di machete a Torino, non aveva certo mai sentito parlare di «Towton 25», eppure ne ha condiviso la sorte. Anche «Towton 25» è morto sotto i colpi feroci di un’arma da taglio, a circa 35 anni, nella battaglia di Towton, Inghilterra 1461. La differenza tra i due destini è che Georghe è oggi un’eccezione, «Towton 25» la norma del XV secolo. È lo studioso dell’università di Harvard Steven Pinker, in un seminario organizzato dalla rivista «Edge», a ribaltare la nostra persuasione di vivere in un mondo orrido e violento, dimostrando invece che mai, nella storia del genere umano, è stato così raro cadere in guerra, essere feriti o violentati, subire agguati, torture, deportazioni.

<TAB>Georghe anima siti Internet e telegiornali, il suo corpo con il sudario bianco sul marciapiede va sui giornali. Cogne, Perugia, Avetrana, ogni vittima è globale, in pace e in guerra. Da anni rivediamo le Torri Gemelle cadere e ricadere, con i loro tremila morti di cui conosciamo volto e nome, ma la sola battaglia di Antietam, Guerra civile Usa 1862, lasciò sul campo tra morti e feriti 26 mila americani, moltissimi gli ignoti. È per noi difficile ammettere di vivere nel tempo più pacifico dell’Homo Sapiens, a dirlo si rischia di passare da ingenui. Eppure lo psicologo Pinker ritiene sia in corso addirittura un’evoluzione della specie, siamo meno violenti e aggressivi, più portati ad ascolto e dialogo.

<TAB>Lo so, un’ora nel traffico, la coda allo sportello affollato, le cronache metropolitane, gli agguati a Kabul, nel Darfur o in Cecenia, ci rendono scettici. Ma riguardando senza pregiudizi i dati di «Edge», concludiamo che Pinker ha ragione e che non dobbiamo negare, ma consolidare il progresso.

<TAB>«Towton 25» torna alla luce con i lavori per costruire un grande magazzino. Le ruspe scoprono i cadaveri dei guerrieri caduti in quella cittadina inglese nel 1461. Il cadavere numero 25 conserva le fratture craniche, suturate, di tante precedenti battaglie, fino alle otto subite solo in quel 29 marzo. Grazie al computer gli studiosi analizzano la sequenza delle ferite (il cranio si rompe la prima volta seguendo certe linee di resistenza, poi, indebolito, cede con diversa dinamica), il coraggioso Towton 25 non cadde fino al fendente micidiale che gli squarciò la nuca. Allora i nemici gli furono addosso, massacrandolo.

<TAB>Un destino comune nel passato. Nell’America precolombiana, fino al 60% delle popolazioni moriva in guerra, uno su cinque dei nostri antenati preistorici era massacrato negli scontri di clan o in altre violenze. Nel 2005 la percentuale mondiale di morti violente non tocca lo 0,03%. Perfino gli orrori del XX secolo, due guerre mondiali, Olocausto, bombe atomiche sul Giappone, infinite guerre civili e coloniali, non raggiungono le tragedie del passato, con meno di 5 vittime su 100 viventi. L’Ottocento e il Settecento, secoli di positivismo e Lumi sono, in proporzione, assai più sanguinari.

<TAB>Lo «stato di natura» non è dunque l’idillio di bontà sognato dal filosofo Rousseau, semmai il mondo di «lupi» interpretato da Hobbes: un europeo di oggi ha 50 volte meno possibilità di subire violenza rispetto agli antenati medievali. Gli atti del seminario «Edge», disponibili al sito edge.org/conversation/mc2011-history-violence-pinker, confermano che dal genocidio, comune ai tempi dell'Antico Testamento come nelle campagne del generale romano Mario contro Cimbri e Teutoni, allo stupro di massa, alle rapine, la schiavitù, la detenzione senza controlli, ogni abuso contro persona e diritti è in calo. Nel suo prossimo libro, «The Great Big Book of Horrible Things», lo studioso Matthew White, che si definisce con humor nero «atrociologo», elenca i cento maggiori eventi tragici del passato. Solo la Seconda Guerra Mondiale rappresenta, tra i primi dieci, il nostro tempo.

<TAB>La violenza cala con l’affermarsi di democrazia, istituzioni internazionali come l’Onu, e, ebbene sì, mercato: commerciamo dove un tempo si sgozzava e rapinava. Sono la legge, lo Stato, la società civile a farci meno barbari. Si fatica ad accettare questa verità storica, i romanzi di Orwell, «1984» e «La fattoria degli animali», le ballate di Fabrizio De André con i caustici ritratti di poliziotti, giudici e secondini, i film di Hollywood con James Dean e Marlon Brando ribelli e fuorilegge romantici contro l’ordine della metropoli, ci fanno deprecare il presente come violento e provare nostalgia di un passato bucolico e comunitario. La campagna delle lucciole di Pier Paolo Pasolini, le mistiche India e Cina perdute di Tiziano Terzani sono fiabe ammalianti, ma nella realtà erano lande di violenza e sopraffazione senza regole, in famiglia, al lavoro dei campi, nei villaggi, sotto le armi.

<TAB>I movimenti per i diritti civili di minoranze razziali, etniche e religiose, femminismo e battaglie gay hanno ridotto gli abusi contro chi ha meno potere: siamo ben lontani da giustizia, eguaglianza e pace, ma abbiamo fatto progressi epici, e non comprenderlo ci rallenta verso nuove conquiste.

<TAB>Pinker conclude che scuola, cultura e comunicazione ci rendono più disposti a dialogo e tolleranza che possono infine diventare tratti genetici della specie umana. Già Alberto Moravia, in un suo discorso al Parlamento europeo, vaticinava «la guerra diventerà un tabù», come antropofagia e incesto erano stati per i nostri antenati. Il quoziente intelligenza medio va salendo (lo so, si stenta a crederlo, ma fidatevi, è così), preferiamo il negoziato allo scontro brutale e qui Pinker cita Voltaire: «Se vi fanno credere alle assurdità, finirete per commettere atrocità». Georghe è stato abbattuto a colpi di arma da taglio a Torino come il «numero 25» di Towton. Consola che il sangue sparso vada rarefacendosi, ma proviamo pena per ogni morte violenta.

Pinker e gli studiosi di «Edge» non fanno notizia perché contraddicono insieme il nostro cinismo e la nostra bontà, i migliori e i peggiori istinti di ciascuno. Eppure accettare il tanto cammino fatto ci porterà a maggiori, non minori progressi.

http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/422923/


 
 
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